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I Corali della Biblioteca Statale di Lucca

Il volume (Firenze, Olschki 1977), inserito nella collana «Biblioteca di Bibliografia Italiana», descrive dal punto di vista codicologico i 34 corali posseduti dalla Biblioteca Statale di Lucca, provenienti dai monasteri locali e incamerati a seguito della soppressione delle corporazioni religiose del 1867. I corali contenenti miniature sono fatti oggetto di uno studio specifico. 

Arte e committenza privata a Lucca nel Trecento e nel Quattrocento.

Il volume (Lucca, Pacini Fazzi 1986) risulta essere uno dei primi studi italiani sul tema del mecenatismo artistico, e si distingue per aver analizzato il fenomeno nella sua globalità, prendendo in considerazione le varie forme di committenza artistica e libraria che potevano essere attivate dai privati. Ne è risultato uno spaccato della vita cittadina dell’epoca sotto il profilo del rapporto con l’arte e con la cultura. Oggetto della ricerca i palazzi dei mercanti con i loro arredi e suppellettili; l’arte della persona (vesti, acconciature, gioielli); le biblioteche umanistiche e professionali; gli interventi dei privati nell’edificazione delle chiese pubbliche e nella loro ornamentazione pittorica e scultorea; il sepolcro del mercante (lapidi con ritratto, cappelle gentilizie).
La ricerca ha permesso di far emergere accanto a mecenati di calibro internazionale, come Paolo Guinigi e Lorenzo Trenta, committenti minori appartenenti ai ceti mercantile e artigianale, professionale e aristocratico, fornendo così un attendibile contributo alla storia sociale dell’arte toscana del Trecento e del Quattrocento. Apprezzabili anche vere e proprie trouvailles, come un’inedita scultura di Francesco di Valdambrino e l’identificazione in Vincenzo di Michele da Piacenza dell’autore della splendida croce di argento dorato, nota come Croce dei Pisani (1411). 

Le edizioni del Quattrocento in una raccolta toscana

I due volumi (Lucca, Pacini Fazzi 1990, 1992) costituiscono il catalogo della collezione di incunaboli della Biblioteca Statale di Lucca, comprendente 711 edizioni e 834 esemplari. Particolare attenzione è stata data alla descrizione degli esemplari e alla trascrizione delle note di possesso e all’identificazione dei possessori. Per la prima volta nella catalogazione degli incunaboli le illustrazioni silografiche sono state elencate con il soggetto della raffigurazione, misure e localizzazione all’interno del volume, secondo le modalità descrittive delle miniature nei codici.

I codici di Cesare e Giacomo Lucchesini. Un esempio di raffinato collezionismo tra '700 e '800

Il volume (Lucca, Pacini Fazzi 1994) descrive un’ampia selezione di un’importante fondo manoscritto della Biblioteca Statale di Lucca, la collezione dei codici dei due bibliofili lucchesi Cesare e Giacomo Lucchesini. Si tratta di 42 codici miniati o illustrati, occupanti un arco cronologico assai ampio, dal IX al XVI secolo, attestanti il raffinato gusto bibliofilico dei due possessori. Di particolare interesse il gruppo di codici altomedievali appartenuti a Cesare Lucchesini, che denotano un precoce interesse per tali manufatti provenienti principalmente da monasteri tedeschi, in controtendenza con le scelte dei contemporanei collezionisti. Il saggio che precede il catalogo vero e proprio ricostruisce sulla base dell’archivio storico della Biblioteca e di altre fonti, la storia del fondo, chiarendone i tempi e le modalità della costituzione per opera dei due bibliofili, e le vicende della prima sistemazione nella raccolta pubblica, caratterizzata da improprie contaminazioni con altri fondi. 

Il monumento di Ilaria del Carretto nella Cattedrale di Lucca

Il volume (Lucca, Pacini Fazzi 1999) è una monografia dedicata al capolavoro di Jacopo della Quercia conservato nella Cattedrale lucchese. Il rinvenimento nel pavimento della chiesa di un significativo frammento dell’originario piano di posa del sarcofago ha permesso di individuare l’esatto luogo della sua collocazione originaria (transetto meridionale, dove sorgeva l’altare di patronato dei Guinigi) e di confermare che la forma del monumento lavorato su quattro lati era quella richiesta fin dall’inizio dal committente. Le fonti classiche a cui lo scultore si è ispirato, proprio per la necessità di decorare la cassa su quattro lati, sono con ogni probabilità sarcofagi di fattura greca importati a Roma. 
 

L’appannato specchio. L’autore e l’editoria italiana nel Settecento



Si dà qui di seguito l'indice del volume (Lucca, Pacini Fazzi 2004), ad attestazione dell'ampio raggio di azione della ricerca, che risulta finora la più compiuta sul tema dell'autore settecentesco alle prese con i problemi editoriali:

I  GLI ANTECEDENTI. Ideazione dell’opera, raccolta del materiale, elaborazione del testo, circolazione manoscritta, censura preventiva.

II EDIZIONI A SPESE DELL'AUTORE. Matrici delle incisioni a spese dell’autore. Prestito dei rami. Edizioni a spese dello stampatore.

III LA DEDICA. Premessa. Il sistema delle dediche. Il sistema produce i suoi frutti. La ‘dedica libera’. Dediche professionali. Dediche di stampatori e librai. Critiche al sistema. Il caso Alfieri.

IV I MECENATI. Premessa. Il mecenatismo editoriale e la situazione romana. Panorama italiano (Venezia, Domini veneziani, Milano, Cremona e Mantova, Torino, Genova, Parma, Modena, Bologna, Ferrara, Lucca, Firenze, Napoli, Palermo).

V I COMMITTENTI. Premessa. Storie particolari. Opere di propaganda religiosa o politica. Libelli antigesuitici per le vicende del Portogallo. Scipione de’ Ricci committente. Clemente XII e i Parentalia Mariae Clementinae. Muratori e la disputa sul possesso di Comacchio. Cataloghi di biblioteche, di codici, di stampe, di antichità, di cammei, di medaglie. Illustrazioni di particolari monumenti. Il collezionista-committente. Giacomo Nani e Stefano Borgia. Conclusioni.

VI LE EDIZIONI DI LUSSO. Premessa. La cattiva qualità delle stampe: rassegnazione e volontà di riscatto. Dall’edizione ‘mercantile’ a quella ‘magnifica’. Dubbi e critiche.

VII IL PUBBLICO. Premessa. La scoperta del pubblico. Alla ricerca del pubblico ‘universale’. Pubblico tradizionale e nuovi pubblici. Resistenze della cultura erudita e contaminazioni tra tipologie di lettori. La polemica antidotta: Francesco Algarotti, Saverio Bettinelli, Giuseppe Baretti, Carlo Denina, Gasparo e Carlo Gozzi, Pietro Verri e i redattori de «Il Caffé». Difesa delle letture ‘facili’. Atteggiamenti ricorrenti nei confronti del pubblico: fiducia, sfiducia, timore. Prove di marketing.

VIII LA PIRATERIA EDITORIALE. Premessa. Varie forme di plagio ed edizioni ‘spurie’. Poesie, opere teatrali, epistolari. Le edizioni pirata.

IX IL SUCCESSO E LA GLORIA. Premessa. Indicatori di successo. Rapida vendita delle copie, ristampe, traduzioni, credito goduto nella comunità dei letterati, edizioni ‘magnifiche’, ritorno economico per l’autore. La gloria.


La dedica. Storia di una strategia editoriale

Il volume (Lucca, Pacini Fazzi 2009), che risulta essere la prima monografia italiana sul tema della dedica mecenatica, ha per oggetto un testo standardizzato, in cui sono chiaramente individuabili un linguaggio topico e numerosi luoghi tipici ricorrenti. È quindi un microtesto che si evolve con lentezza e che conserva in tutte le epoche dei caratteri similari, al punto che, ad esempio la tipologia della dedica barocca sarà utilizzata anche da intellettuali che si opponevano apertamente alle degenerazioni del secentismo. Una vera e propria strategia editoriale con precisi obiettivi e finalità.
Nella prima parte del saggio si è proceduto all’analisi dei formulari e dei moduli testuali, e alla specificazione delle caratteristiche del sistema e delle sue regole. Emergono quindi le specificità della dedica cinquecentesca, poiché è nel secolo sedicesimo che si consolidano la struttura del meccanismo e la topica dell’epistola dedicatoria. Vengono individuate almeno dieci regole del codice non scritto che governava il sistema, e almeno diciotto luoghi tipici ricorrenti. E' stato pure indagato l'apparato decorativo associato alla dedica, relativo ora allo stemma del atrono, ora al ritratto di questi, ora alla scena della presentazione dell'opera.
Le modificazioni dovute all’influenza del secentismo e lo sviluppo della pratica dedicatoria nel Settecento sono analizzati invece in specifici capitoli della terza parte, in cui è affrontata la variegata casistica dell’utilizzo effettivo dello strumento della dedica.
La seconda parte ha per oggetto significative testimonianze di carattere teorico relative alla consuetudine delle dediche, ora scritte da fautori del sistema con l’intento di denunciarne abusi e deviazioni, oppure allo scopo di rilanciarne l’efficacia di strumento incentivante per gli autori; ora scritte al contrario da uno spregiatore di tale strategia, di cui vuole mettere in luce le criticità in termini di danno all’immagine e alla dignità dei letterati. Un approccio alla fenomenologia dedicatoria che sottintende una generale valutazione del processo e che può tradursi in un racconto che ironizzi sulle intitolazioni fallite di uno sfortunato poeta, o nella ripubblicazione antologica di lettere di dedica proposte a mo’ di esempio in un momento di grande espansione della consuetudine.

Jan Van Eyck alla conquista della rosa. Il ‘Matrimonio Arnolfini’ della National Gallery di Londra. Soluzione di un enigma





Il volume (Lucca, Pacini Fazzi 2010) è incentrato sulla tesi che il dipinto non raffiguri, come comunemente si crede, i coniugi Arnolfini, ma il pittore Jan Van Eyck e sua moglie Margaretha; un autoritratto che celebra la nascita del loro primo figlio maschio avvenuta proprio nel 1434. D'altra parte a sostegno dell'identificazione tradizionale c'è solo la somiglianza fonetica tra il cognome Arnolfini e il nome 'Hernoul le Fin' con cui l'uomo raffigurato nel dipinto è registrato nell'inventario della quadreria di Margherita d'Austria (1516). Ma l'estensore dell'inventario dovette farsi ingannare dall'apparente contenuto boccaccesco della scena (moglie incinta assai più giovane del marito, probabile amante sulla soglia della camera) e dalla firma allusiva dell''ingresso di un estraneo nel talamo ("Jan Van Eyck fuit hic"), ritenendo che il dipinto rappresentasse l'allegoria del marito tradito, del 'cocu', nella cultura popolare franco-fiamminga dell'epoca simboleggiato dalla figura dell''Arnolfo', l' 'Hernoul' appunto. E' quindi solo per un caso che nell'Ottocento Crowe e Cavalcaselle abbiano associato il cognome Arnolfini alla descrizione dell'inventario del 1516.
Il dipinto è ispirato al 'Roman de la Rose', il celebre romanzo ancora in voga al tempo di Van Eyck, che narra la storia della conquista di una fanciulla (in realtà del suo sesso, la 'rosa') da parte dell'amante che, per riuscire nell'intento, deve trasformarsi in un pellegrino. Si spiega così l'austero abito dell'uomo e il suo copricapo che ricordano l'abbigliamento del pellegrino, e si spiega finalmente anche l'eccezionale firma adottata dal pittore che è esemplata sui graffiti che venivano lasciati nei santuari durante i pellegrinaggi a testimonianza del proprio passaggio. Van Eyck, imitando il protagonista del romanzo, celebra il suo amore per Margaretha e la conseguente nascita del primogenito maschio, comportandosi come un pellegrino al cospetto della reliquia (nel 'Roman de la Rose'  il sesso femminile è infatti paragonato ad una reliquia).
 

La ‘Tempesta’ svelata. Giorgione, Gabriele Vendramin, Cristoforo Marcello e la ‘Vecchia’

Il volume (Lucca, Pacini Fazzi 2011) accoglie nella prima parte la disamina dei ben 65 interventi critici dedicati specificatamente all'esegesi del capolavoro dal 1895 fino ad oggi, essendo la  ‘Tempesta’ l’opera del Rinascimento italiano che forse ha suscitato il maggior numero di tentativi di interpretazione del suo soggetto nascosto. Il lettore può così seguire l’altalenante percorso della letteratura critica che non ha finora fornito una soddisfacente soluzione dell’‘enigna pittorico’.

La tesi che viene esposta nella seconda parte del volume prende le mosse dall'inedita osservazione che la parete con archeggiature alle spalle del personaggio maschile è sensibilmente inclinata, suggerendo l'impressione di trovarsi al cospetto di un edificio danneggiato da un terremoto. Tale era infatti la convenzione visiva, già nel Medioevo, per rappresentare un edificio sprofondato nel terreno e non danneggiato dalla consunzione del tempo, come invece è stata sempre interpretata la parete in questione. Il riferimento è al terribile terremoto che aveva colpito nel mese di settembre del 1509 Costantinopoli, e la conferma è nel basamento con due colonne spezzate che è presso la parete inclinata, allusivo delle due colonne colossali che vennero abbattute dal sisma del 1509 e che davano il nome ad una celebre località della capitale ottomana, "Diplokionion".
Il paesaggio urbano dello sfondo raffigura Padova e il temporale che la sovrasta richiama la simbolica 'tempesta' con cui viene definito da una canzone satirica dell'epoca il bombardamento della città veneta da parte dell'imperatore Massimiliano I, avvenuto nello stesso mese di settembre del 1509. Tale bombardamento si risolse con un nulla di fatto per l'eroica resistenza dei patrizi veneziani accorsi in difesa di Padova.
Giorgione ha quindi raffigurato in un'unica scena due episodi della recentissima storia veneziana risoltisi in favore della Serenissima, il superamento del terremoto di Costantinopoli e la difesa virttoriosa di Padova. Il dipinto, databile tra la fine del 1509 e i primi mesi del 1510, ha una funzione simbolica di buon auspicio, in quanto celebra la buona sorte nel momento critico della guerra della Lega di Cambrai.




Il sogno di Giove di Dosso Dossi e altri saggi sulla cultura del Cinquecento


Il volume (Lucca, Accademia Lucchese di Scienze, Lettere e Arti 2013) ha per oggetto nuove ricerche storiche ed iconologiche su di un capolavoro dell’arte italiana del Rinascimento, il dipinto di 'Giove pittore di farfalle' di Dosso Dossi nel Castello Reale di Cracovia. Per la prima volta viene qui identificato un personaggio chiave del dipinto, l’Aurora, e ciò consente di chiarire il significato della tela nella difesa della sfera onirica, nonostante l’avanzare della luce del giorno. Anche il ruolo di Mercurio viene finalmente riconosciuto con quello di 'portatore del sonno e dei sogni' (Mercurio oneiropompo), e viene così spiegata la sua opposizione all'ingresso nell'Olimpo dell'Aurora, dissipatrice dei sogni.
Il quadro, destinato al luogo di delizie di Alfonso I d’Este, celebra così l’importanza dell’ozio e del sogno, e, con lo stesso spirito parodico, annuncia il superamento del paventato pericolo del diluvio del 1524, propagandato dagli astrologi di mezza Europa. L'originaria collocazione del dipinto era la camera del signore, e lì, al tempo di Ercole II, venne affiancato dalla tela di Dosso e Battista Dossi raffigurante Ercole e i Pigmei , ora a Graz (Alte Galerie).
Lo studio prosegue con l'ipotesi che Freud possa aver conosciuto il dipinto quando si trovava a Vienna, nel momento in cui il padre della psicoanalisi elaboravala tesi che il sogno è guardiano del sonno.
Il volume contiene due altri saggi, uno dedicato all'identificazione del monumento funerario conservato nel chiostro dei SS. Apostoli di Roma con la tomba del banchiere senese Giulio de Vecchi (1556), in passato erroneamente ritenuto il cenotafio di Michelangelo; l'altro dedicato agli scritti teorici cinquecenteschi dedicati al tema del sogno. 

Lo specchio del Rinascimento. Novità su Tiziano e Dosso che ritraggono Ariosto


Il volume (Lucca, Pacini Fazzi 2015) si  propone di fare chiarezza sulla spinosa questione dell'iconografia di Ludovico Ariosto, basata, come è noto, su pochissimi ritratti certi, e alterata nel corso dei secoli dall'attribuzione della supposta fisionomia del poeta a ritratti che in realtà non lo raffigurano. Dopo la puntuale disamina della letteratura sull'argomento, divisa tra interventi di storici dell'arte e di italianisti, vengono qui esaminati i ritratti spuri, veri e propri fantasmi ariosteschi che hanno finito per alterare nell'immaginario collettivo il volto del personaggio. Uno di questi, il ritratto opera di Palma il Vecchio della National Gallery  (NG 636) viene qui finalmente associato al vero titolare dell'effigie, il poeta veneziano Nicolò Dolfin. Il successivo esame dei ritratti certi ha poi consentito di chiarire che i ritratti che Dosso fece del poeta, ricordati dalle fonti e considerati perduti, sono in realtà conservati, uno agli Uffizi (Inv. 889) e l'altro nel Center for the Arts di Wichita nel Kansas (K 1070). A tali due inediti ritratti del poeta, la ricerca ha permesso di aggiungere anche un piccolo ritratto, da un originale di Tiziano, conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna (GG 106).    

Sogni Celebri e Bizzarri

Il volume (Milano, FrancoAngeli 2015) è la prima monografia sul tema della bizzarria onirica. Di tutti gli aspetti connessi alla sfera del sogno, quello della bizzarria onirica è forse il più sorprendente e quello che più allontana il sognatore dalla realtà della veglia. Si deve a tale fenomeno se la psicoanalisi freudiana ha giudicato il sogno deformato e bisognoso di interpretazione, e se le neuroscienze lo hanno ritenuto un prodotto casuale del sonno REM. Eppure finora non era stata dedicata all'argomento un'opera monografica, nonostante l'interesse suscitato nella letteratura scientifica a livello internazionale.
Il presente lavoro costituisce un approfondimento sul tema delle distorsioni visive e delle incongruenze narrative frequenti nell'esperienza onirica, sotto tre punti di vista:
a) la bizzarria nella storia del sogno, dagli autori greci e latini fino al Cinquecento;
b) l'esame degli oltre cinquanta contributi scientifici apparsi negli ultimi decenni del Novecento e nel primo di questo secolo;
c) una nuova ipotesi su come si genera il fenomeno della bizzarria.
Ad un certo momento, infatti, si viene ad infrangere la coerenza narrativa e visiva che fa credere al sognatore di vivere un'esperienza reale, e l'evento bizzarro, con la sua carica di illogicità e di violazione delle leggi fisiche, fa il suo ingresso sulla scena del sogno. La tesi è che ciò avvenga quando la volontà del sognatore non riesce ad affermarsi e viene coartata da un diverso esito della trama. Il meccanismo è quello del rifiuto della realtà a seguito della frustrazione del desiderio che Freud aveva individuato per i sogni diurni e le fantasie inconsce; ma che egli non avrebbe applicato alla fenomenologia onirica, anteponendogli quello della censura.
L'ipotesi viene testata ricorrendo ad un consistente set di sogni che possono definirsi celebri per essere entrati a far parte della letteratura specifica, con la parte del leone svolta da quelli contenuti nelle opere di Freud, Jung, Musatti e Hobson.


 
Indice
Umberto Barcaro, Prefazione
Premessa
Parte I. La bizzarria nella storia del sogno: dall'antichità greco-romana al Cinquecento
L'antichità greco-romana
Il Medioevo cristiano
Il Quattrocento e il Cinquecento
Parte II. La recente letteratura scientifica sulla bizzarria onirica
Una bibliografia ragionata
(La qualità visiva delle immagini bizzarre simile a quella delle immagini ordinarie. Allan Rechtschaffen e Cheryl Buchignani (1992); Bizzarria e novità. Dorus et alii (1971); La supposta relazione tra bizzarria onirica e creatività (1982, 1989-1990, 1991, 1993, 2001); La supposta relazione tra bizzarria e "linee di confine sottili" ("thin boundaries") della mente; Bizzarria come forma di bellezza irregolare e grottesca. Roger M. Knudson (2001); La classificazione e la misurazione della bizzarria (1982, 1987, 1991, 1992, 1995); Bizzarria come risultato di "scoppi visivi" dovuti alle punte PGO. Seligman e Yellen (1987); La centralità della bizzarria nel processo onirico. J. Allan Hobson e colleghi (1989, 1993, 1994, 1997, 2004, 2005, 2007); La bizzarria come componente fondamentale della composizione visiva del sogno. Bert O. States (1992, 1993, 1997, 2000, 2003); Bizzarria e meccanismo controfattuale nel sogno. Patrick McNamara, Jensine Andresen, Joshua Arrowood, Glen Messer (2002); Bizzarria come insolita combinazione di immagini, dotata di coerenza interna. Antti Revonsuo e Krista Tarkko (2002); Analogie tra bizzarria e sindromi da errata identificazione. Sophie Schwartz e Pierre Maquet (2002); Bizzarria come alterata combinazione delle memorie. L'accettazione della bizzarria come fatto reale da parte del sognatore. David Kahn (2007); L'altra faccia della luna: il riconoscimento della bizzarria come tale da parte del sognatore. Pensieri razionali nel sogno, nonostante la bizzarria. Miloslava Kozmová e Richard N. Wolman (2006, 2007); La bizzarria come aspetto minoritario dell'esperienza onirica. G. William Domhoff (2007); Bizzarrie visive come errori cognitivi. Pier Carla Cicogna, Miranda Occhionero, Vincenzo Natale e Maria José Esposito (2007); Bizzarria come conseguenza dell'alterata connettività degli attrattori corticali. Erin J. Wamsley e John S. Antrobus (2007). Don Kuiken (2009); Bizzarria come conseguenza dell'alto livello di secrezione di cortisolo. Jessica D. Payne (2010))
Parte III. Una nuova ipotesi sulla genesi della bizzarria onirica
Ercole al bivio: cosa è una bizzarria e cosa probabilmente non lo è
Bizzarria e sogni celebri
La questione della volontà del sognatore. Influenza sulla trama e sulla produzione di immagini
La duplice realtà del sogno
Sognatore e mente sognante: una coabitazione non facile
(Il principio di coerenza)
La bizzarria onirica come temporanea sospensione del canone del sogno. Il rifiuto della realtà
(Bizzarria e frustrazione del sognatore; Caratteristiche dell'evento bizzarro)
La pista freudiana: il sogno diurno come fuga dalla realtà
(Bizzarria e conflitto motivazionale. L'irruzione dell'inconscio)
La frustrazione latente
Confronto con le teorie psicoanalitiche, neurobiologiche e cognitiviste
Un'ipotesi evolutiva per la bizzarria onirica
Riferimenti bibliografici.

Amleto a Lucca. La prima raffigurazione pittorica di Amleto

Ilaria Maior. Storia e alterna fortuna del capolavoro di Jacopo Della Quercia nella Cattedrale di San Martino a Lucca

Il volume (Lucca, Pacini Fazzi 2016) rappresenta un ulteriore intervento critico, dopo lo studio del 1999, su uno dei capolavori della scultura rinascimentale italiana. Ne vengono confermati risultati accertati -quali la forma originaria del monumento, la sua primitiva collocazione, e l'accidentato percorso della sua ricostruzione dopo la dispersione di alcune parti - e acquisisce una nuova inquadratura storica e simbolica la figura di Ilaria, garante del futuro dinastico della signoria guinigiana. 
L'indagine ha avuto per oggetto anche l'aspetto stilistico dell'opera, fornendo una ricostruzione delle possibili fonti del capolavoro e del percorso espressivo seguito da Jacopo della Quercia, in accordo con il suo committente.
Il volume è corredato da un consistente apparato iconografico, frutto del magistero tecnico di Lucio Ghilardi e di Aurelio Amendola.
 

Botticelli. Venere e Marte. Parodia di un adulterio nella Firenze di Lorenzo il Magnifico

Il volume (Pisa, Edizioni ETS 2017), che risulta essere la prima monografia sul Venere e Marte di Botticelli della National Gallery di Londra, contiene una dettagliata disamina dei precedenti interventi critici, a far data dal 1893, e l'esposizione di una nuova tesi interpretativa. Il dipinto non ha goduto della fortuna critica delle altre opere di argomento mitologico del grande maestro, e ciò è principalmente dovuto alla prevalente convinzione che il messaggio veicolato dal pittore sia quello, piuttosto semplicistico, dell’amore che vince la violenza e la forza bruta. In realtà la lettura neoplatonica è contraddetta dallo spirito satirico suscitato dai quattro satirelli che si prendono gioco di Marte, e dall’insolita iconografia del dio della guerra dormiente e seminudo e di Venere désta e vestita di tutto punto. L’incontro amoroso non è avvenuto, Marte giace indolente e Venere attende indispettita, mentre i satirelli vorrebbero risvegliare nel giovane l’eros sopito. Botticelli ha dipinto una parodia del mito, e i destinatari della satira sono Simonetta Vespucci e Giuliano de’ Medici. Il dipinto tradisce un risentimento nutrito in casa Vespucci nei confronti della sposa adultera, e anticipa il giudizio negativo espresso dal savonaroliano Tommaso Sardi nei confronti di Simonetta. Probabile committente l’umanista Giorgio Antonio Vespucci che avrebbe poi aderito alla riforma del Savonarola.